«La vaccinazione anti COVID-19 è il modo migliore per riappropriarsi di una certa ‘normalità’ nella vita relazionale», afferma Giovanni Guaraldi, medico infettivologo e Professore associato dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, che fa il punto sul significato e l'importanza delle vaccinazioni bivalenti:
«Oggi le terze e quarte dosi sono “m-RNA bivalenti”, ossia
formulate per offrire una copertura dalle varianti Delta e Omicron a tutta la
popolazione. Il virus SARS- CoV-2
è destinato a permanere, e dal momento che l’immunità è labile risulta necessario
rinnovarla periodicamente con booster vaccinali».
I nuovi vaccini bivalenti - inducendo la produzione temporanea
delle proteine spike della variante originale e della sottovariante BA.2 -
estendono la loro efficacia alle mutazioni del virus. Ed il completamento del
ciclo vaccinale è tanto più urgente se rapportato ai dati attuali: a settembre
2022 si è registrato un aumento del 10% dei positivi in appena una settimana
(potenziale indicatore di una nuova ondata) con più dell’80% dei ricoverati ancora privo della
quarta dose.
«La malattia è la stessa - sottolinea Guaraldi - ed uguale è la
patogenicità: chi non ha avuto problemi con le prime due dosi non tema conseguenze
con queste ultime e vada a vaccinarsi. Le complicanze severe, rappresentate in
particolare dalle miocarditi, si sono verificate solo in alcuni soggetti con la
prime dosi, e accentuate nelle seconde. Abbiamo già selezionato queste persone
e invitato tutte le restanti a vaccinarsi in tranquillità e sicurezza,
ricordando inoltre che si tratta di un vaccino ‘combinabile’ con quello contro l'Herpes Zoster (comunemente noto
come “Fuoco di sant’Antonio") e con l’antinfluenzale».
Quali indicazioni ai pazienti HIV+? «Oltre agli operatori
sanitari, agli ospiti delle RSA e agli over 60, la quarta dose è destinata alle
categorie fragili, fra cui figurano i sieropositivi. Per questi ultimi - in cui
la risposta al vaccino è ben correlata alla conta dei linfociti CD4 -
continuare a vaccinarsi non è solo una raccomandazione ma un’opportunità
essenziale: i pazienti HIV+ rischiano infatti di perdere anni di guadagno
immunologico legato alla terapia antiretrovirale, poiché il danno infiammatorio
e di immunosenescenza (ossia di abbassamento delle difese immunitarie nel corso
del normale processo di invecchiamento) legato al COVID-19 è elevato. E’ il
motivo per cui si parla di “Long Covid”, cioè di una condizione clinica
caratterizzata dal mancato ritorno allo stato di salute precedente l’infezione acuta, similmente a quanto accade per il virus
HIV».
Esistono controindicazioni per chi è in terapia
antiretrovirale? «Nessuna: il vaccino anti-covid non pregiudica in alcun modo
il percorso terapeutico, che i pazienti HIV+ devono portare avanti anche
qualora avvenga l’esposizione antigienica al virus
SARS- CoV-2, persino nel caso
di un’infezione asintomatica»
«E’ fondamentale somministrare terapie antivirali specifiche
per COVID-19 il più velocemente possibile rispetto alla diagnosi di contagio,
oltre a fare attività di screening sui soggetti vulnerabili così da conoscerne
la reazione anticorpale al vaccino: in caso di risposta immunitaria pari a
zero, infatti, certi immunodepressi - tra cui i sieropositivi con bassa conta
di CD4 e i trapiantati - sono candidati alla profilassi pre-esposizione (PrEP)
con anticorpi monoclonali.
La loro individuazione e la gestione della PrEP sono affidate
direttamente agli specialisti che hanno in carico questi pazienti: «Oggi basta
rivolgersi al proprio infettivologo per ricevere il certificato vaccinale ed
accedere alla quarta dose senza bisogno di prenotazione».