“Non se ne parla più, eppure c’è ancora”: è una considerazione arcinota, associata di frequente al virus HIV ma nondimeno valida per un’infezione sistemica come quella della sifilide, il cui forte incremento dei contagi, nell’ultimo periodo, ha destato attenzione e preoccupazione su scala internazionale.
Causata da un batterio chiamato “Treponema pallidum” e comparsa verso la fine del 1400 col nome di “morbo gallico” o di “mal francese”, la sifilide è diventata trattabile solo a partire dalla metà del ‘900 grazie alla scoperta della penicillina, che è tuttora il principale rimedio per debellarla.
La sua trasmissione può avvenire per via sessuale - tanto con rapporti di tipo vaginale quanto con rapporti anali e orali - ma anche attraverso il contatto con la pelle o a mezzo transplacentare nel corso della gestazione e del parto (nel cui caso si parla di “sifilide congenita"): una volta entrata in contatto con l’organismo umano per mezzo delle mucose genitali o di ferite della cute, l’infezione sifilitica raggiunge rapidamente il sistema ematico e i linfonodi.
Dopo la fase di contagio, il periodo di incubazione della sifilide può variare tra le 2 settimane e i 3 mesi, un lasso di tempo durante il quale la persona infetta, ancorché asintomatica, risulta contagiosa.
Ad oggi, la principale via di trasmissione della sifilide è quella sessuale, con un significativo rialzo delle infezioni nell'ultimo triennio: nel 2020, l’OMS ha registrato 7.1 milioni di casi di su scala globale ed un trend in continuo aumento col Canada in testa (+ 389% delle infezioni), seguito da Usa, Brasile e Regno Unito (che nel 2022 ha visto il picco di contagi dal Secondo Dopoguerra); nel 2021, inoltre, nell’annuale report sulle IST del Centro Operativo Aids (COA), l’Istituto Superiore di Sanità ha riscontrato una più larga diffusione dell’infezione primaria e secondaria di sifilide - al pari di quelle da clamidia e gonorrea - con particolare incidenza fra gli MSM.
Se i numeri segnano un aumento in più Paesi, le casistiche di contagio sono differenti: in Giappone, ad esempio, uno studio del 2019 ha collegato l'aumento dei casi di sifilide all'utilizzo di app di dating finalizzate all’organizzazione di incontri sessuali non protetti con prostitute non solite sottoporsi a controlli medici, mentre in Basile i tassi più elevati di contagio sono stati riscontrati nelle persone di sesso femminile bassamente scolarizzate e per questo poco avvezze agli screening di prevenzione.
Conoscere con regolarità il proprio stato di salute e intervenire per tempo è invece fondamentale per evitare il progredire di un’infezione che dalla fase primaria (caratterizzata spesso da ulcere e piccole lesioni) può giungere a quella terziaria (colpendo gli organi interni, il sistema nervoso ed altri tessuti) con danni anche a lungo temine.
Come si diagnostica la sifilide (per la quale, tuttora, non esiste un vaccino)? Anzitutto documentando la presenza del batterio “Treponema Pallidum" nei liquidi secreti dalle lesioni infette. E, in seconda battuta, indagando la presenza di anticorpi attraverso uno specifico prelievo ematico.
Come fare prevenzione? Consultando il proprio medico e adottando comportamenti consapevoli: un uso corretto e costante del preservativo, regolarità nello svolgimento dei test MST per l’individuazione precoce di eventuali infezioni e screening in gravidanza.