Scheda quesito
- Nickame:
- giul.
- Data:
- 16/12/2005
- Quesito:
- Salve a tutti.
Più che un quesito, vorrei fare cosa gradita sia agli esperti che agli utenti, riportando la citata intervista a Luc Montagnier del 1998, perché può essere utile per rispondere alle numerossissime e sempre ripetute domande sul PERIODO FINESTRA
(vedete voi se è meglio publicare solo il link o l'intero testo, io metto entrambi.
Il link:
http://newton.corriere.it/Pregresso/1998/11/1998110100001.shtml
L'intervista:
Sono stati un migliaio i fax, le lettere e le e-mail arrivati in redazione con le domande dei lettori per Luc Montagnier. Le caratteristiche del virus, le modalità di contagio, l'andamento dell'epidemia, le terapie disponibili e quelle ancora in fase di sperimentazione, la ricerca sul vaccino. Questi sono stati i temi principali delle vostre domande allo scienziato francese che per primo, insieme con il suo gruppo all'Istituto Pasteur di Parigi, ha isolato il virus Hiv, responsabile dell'Aids. Era il 1983 e ancora di questa sindrome si sapeva pochissimo. Oggi, dopo 15 anni, la medicina ha fatto grandi passi avanti nel controllo dell'infezione, salvando migliaia di vite umane e migliorando le condizioni di molti malati. Eppure la sconfitta definitiva di questo virus sembra ancora lontana, malgrado gli sforzi degli scienziati. Si calcola infatti che nel mondo siano più di 22 milioni le persone infettate, di cui 14 milioni in Africa. Abbiamo incontrato Luc Montagnier per portargli le vostre domande ed esporgli dubbi e paure nei confronti dell'Aids, ma anche le speranze per il futuro. Lo scienziato ha parlato delle ultime scoperte sulle "armi" usate dal virus per paralizzare il nostro sistema immunitario, le modalità e i rischi di contagio, i progressi nelle terapie e le difficoltà di creare un vaccino, unica arma per debellare per sempre l'infezione. Un obiettivo che oggi sembra messo in pericolo dal fatto che l'epidemia riguarda sempre di più il Terzo mondo, mentre si è stabilizzata nei Paesi ricchi. Montagnier ha parlato con passione della tragedia del Terzo mondo, dove la diffusione dell'Aids ha raggiunto livelli elevatissimi e i farmaci più efficaci non sono disponibili. Il messaggio contenuto nelle risposte di Montagnier è talmente importante che non abbiamo potuto resistere alla tentazione di farvelo conoscere subito. Così abbiamo pensato di farvi una sorpresa, anticipando di un mese la pubblicazione dell'intervista. La vostra intervista. Eccola. La diffusione dell'epidemia Come valuta l'andamento della malattia nel mondo occidentale e nei Paesi in via di sviluppo ? E' evidente che ci sono diverse epidemie di Aids nel mondo. Quella nei Paesi sviluppati si è praticamente arrestata. La mortalità è scesa grazie alle terapie e le nuove infezioni sono diminuite in seguito alla prevenzione. C'è anche un altro fattore. Nel mondo occidentale, per una serie di condizioni come l'igiene e gli stili di vita, il contagio per via eterosessuale è molto basso. I sieropositivi sono essenzialmente tossicodipendenti o omosessuali. Mentre la via eterossessuale è la principale causa di contagio nei Paesi dell'Africa sub-sahariana, in America latina, nei Caraibi e nel Sud-Est asiatico. Qui la trasmissione eterosessuale è legata a infezioni concomitanti (come quelle dei genitali femminili) che aumentano la sensibilità all'Hiv. Probabilmente entrano in gioco anche fattori oggi sconosciuti. Sta di fatto che nel Terzo mondo l'epidemia è diventata endemica a livelli altissimi. In alcune zone il 20 per cento della popolazione è infettata. Inoltre, in Paesi dove il virus è entrato da poco tempo, assistiamo a un'esplosione del contagio, che potrebbe arrivare al 50 per cento della popolazione. E' il caso dello Zimbabwe e della Cambogia, nella cui capitale Phnom Penh una prostituta su due è sieropositiva. Le origini dell'Aids Sappiamo quando è nato il virus Hiv? Possiamo solo fare ipotesi sulla base della variabilità del virus. Nel 1959 sono stati prelevati nell'ex Zaire campioni di sangue umano contenente un virus che può essere considerato l'antenato degli attuali virus Hiv africani. Diciamo che probabilmente un tipo di questo virus (Hiv2) esiste da una cinquantina d'anni almeno in Africa, dove forse è passato dalle scimmie all'uomo. Oppure non è escluso che esistesse già da prima nella popolazione. Per esempio, un altro tipo di Hiv non ha parenti prossimi nelle scimmie, quindi possiamo pensare che sia presente nell'uomo da tempi ancora più lunghi, magari da secoli o da millenni. In ogni caso, questi virus sono presenti solo nelle scimmie africane, quindi è probabile che siano apparsi dopo la separazione del continente americano da quello africano. Non è possibile che si tratti di un prodotto di laboratorio? Assolutamente no. Prima di tutto perché è stato trovato un virus analogo negli scimpanzé, almeno nel caso dell'Hiv2. E poi perché l'Aids è comparso prima delle tecnologie di ingegneria genetica. Una malattia simile all'Aids esisteva anche nei secoli passati? Difficile dirlo. In Africa le prime epidemie di Aids sono state osservate 30 anni fa, quindi si tratta di una malattia giovane. Però esistono persone che sono geneticamente resistenti al virus Hiv, a causa di mutazioni genetiche nelle sostanze della cellula usata dal virus per entrare in essa. Possiamo pensare che questa popolazione sia stata selezionata, nel giro di 3-4000 anni, in seguito a un'esposizione diretta al virus, nella quale la mutazione genetica risultava vincente. Ma sono solo ipotesi. Ne avremmo la certezza solo se si trovassero tracce del virus in cadaveri ben conservati. Le caratteristiche del virus Quanti ceppi del virus Hiv sono attualmente classificati e quali sono le loro principali caratteristiche? Ci sono due tipi principali, l'Hiv1 e l'Hiv2. Nell'Hiv1 ci sono due grandi gruppi, chiamati M e O. In ognuno di essi ci sono diversi sottotipi. La settimana scorsa, poi, abbiamo scoperto un nuovo gruppo, intermedio tra M e O, che abbiamo definito N e che è stato osservato in Camerun. Ma i gruppi più diffusi restano essenzialmente M e O, ugualmente presenti in Africa centrale. Nell'Hiv2 abbiamo due gruppi, A e B, a loro volta divisi in diversi sottotipi. Le differenze tra gruppi e sottogruppi stanno nella distribuzione geografica: abbiamo virus che dominano in Africa, altri in America del Nord, altri ancora nel Sud-Est asiatico. Tra l'Hiv1 e l'Hiv2 le differenze sono soprattutto nella patogenicità, cioè l'aggressività del virus, che è inferiore nel tipo 1. Questo ha una minore trasmissibilità per via sessuale e dalla madre al bambino, e ha normalmente un più lungo periodo con assenza di sintomi. L'Hiv2 è diffuso soprattutto in Africa occidentale, in Paesi come la Guinea Bissau e il Senegal, ma a poco a poco viene rimpiazzato dall'Hiv1. Ultimamente assistiamo anche a un mescolamento dei diversi gruppi, un fenomeno che dà luogo a quello che chiamiamo "virus-mosaico". E' possibile che il virus si trasformi, diventando ancora più pericoloso e trasmissibile con nuove modalità (per esempio, attraverso l'aria respirata)? Più l'epidemia si sviluppa più abbiamo virus "adattati" e aggressivi. Tuttavia credo che l'insorgere di nuove modalità di trasmissione sia impossibile. I virus selezionano e adattano la loro struttura per uno specifico mezzo di trasmissione. La struttura stessa del virus Hiv lo costringe a trasmettersi attraverso il sangue o per via sessuale, attraverso le mucose genitali. E' poco probabile che arrivi a trasmettersi attraverso l'aria perché è troppo fragile. In che modo il virus attacca le cellule? L'Hiv per riprodursi usa cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T. Per entrare in queste cellule deve usare due porte di ingresso, cioè strutture presenti sulla membrana cellulare chiamate recettori. La prima porta d'ingresso è il recettore CD4, scoperto all'inizio degli anni Ottanta, che caratterizza un'omonima classe di linfociti T. Il virus si lega a questo recettore, interagendo un po' come fanno chiave e serratura. Ma il recettore CD4, da solo, non è sufficiente a far infettare le cellule. Il virus deve infatti superare un'altra porta, costituita dal co-recettore CCR5 che pare agisca favorendo la fusione dell'Hiv con la membrana cellulare. Se ci riuscisse non avremmo il virus. Il motivo per cui un virus continua a essere presente all'interno di una popolazione è proprio il fatto che riesce a difendersi dall'attacco del sistema immunitario. L'Hiv è un retrovirus: significa che usa il suo Rna per replicarsi e creare un Dna che nasconde nelle cellule, restando invisibile. Questo è un primo sistema per sfuggire al sistema immunitario, che cerca materiale genetico ma non lo trova. Un secondo sistema utilizzato dall'Hiv è produrre proteine che paralizzano il sistema immunitario, proprio come un serpente secerne veleno per paralizzare la sua preda. Non sappiamo esattamente di quali proteine si tratti ma abbiamo alcuni candidati. In particolare, i nostri sospetti cadono sulla proteina Nef. Se si riesce a sopprimere la proteina Nef, in effetti, il virus risulta molto indebolito. Ci si chiede come faccia un virus inizialmente presente con poche particelle a "paralizzare" l'intero organismo. In realtà il virus può moltiplicarsi utilizzando cellule del sistema immunitario ma solo dopo averle attivate. E inizialmente le cellule attivate sono molto poche. Dunque uno dei primi compiti del virus è quello di secernere queste proteine in grado di attivare le cellule vicine a quelle già infettate e permettere quindi la replicazione del Dna. Nei confronti del virus dell'Aids il corpo utilizza due tipi di risposte immunitarie: una è, appunto, l'immunità cellulare, che è prodotta dai linfociti T ed è più efficace. L'organismo produce anche anticorpi (immunità umorale), ma nel caso dell'Hiv funzionano male, perché il virus ha come sua strategia quella di presentare solo pochi "pezzi" riconoscibili. Insomma, da una parte paralizza le cellule che dovrebbero ucciderlo, dall'altra si mimetizza. Come spiega il fatto che nelle persone sieropositive il virus è presente solo in un piccolo numero di linfociti (cellule del sistema immunitario che vengono attaccate dall'Hiv), e cioè uno su cento, una percentuale molto inferiore a quella di altri virus? Non è un numero così basso, anche se lo è in proporzione alla quantità di linfociti del nostro organismo. Si tratta però di un numero dinamico. Se è vero che l'uno per cento dei linfociti è infettato nel giro di tre-sei mesi, si è anche visto che la presenza del virus nel sangue si rinnova molto rapidamente. In un giorno e mezzo metà dei virus vengono rimpiazzati nel sangue. Questo fenomeno si chiama clearance, cioè "rimozione". Il virus cerca sempre nuovi bersagli da infettare oppure utilizza le stesse cellule per replicarsi, come nel nostro caso. Quindi per il decorso della malattia è importante la quantità di virus, più che il numero di linfociti infettati. Le vie del contagio Lei ha parlato spesso di co-fattori dell'Aids, come le condizioni di salute generale, lo stile di vita, eventuali altre infezioni genitali che possono favorire la trasmissione. Qual è il loro ruolo nel contagio e nell'andamento della malattia? I co-fattori sono molto importanti. Per esempio, potrebbero spiegare perché l'Aids si diffonde a macchia d'olio nei paesi del Terzo mondo. In particolare ci stiamo concentrando su una classe particolare di co-fattori, chiamati micoplasmi, batteri che possono favorire il contagio e poi l'evoluzione della sieropositività in Aids. Si è visto in effetti che i micoplasmi sono molto più diffusi in Africa che non nei Paesi sviluppati. Perché alcune persone, pur essendo costantemente esposte al virus, non si infettano? E' il caso di gruppi di prostitute tailandesi, o di partner di sieropositivi che restano immuni al contagio.Esistono diversi tipi di meccanismi di resistenza all'Aids. Ci sono persone dotate di immunità genetica, grazie a mutazioni nei geni dei co-recettori di cui abbiamo parlato precedentemente. Sono casi molto rari e riguardano soltanto il 2-3 per cento della popolazione europea, ma lo zero per cento degli africani. Altri sono resistenti perché hanno acquisito un'immunità cellulare. Significa che il loro sistema immunitario è riuscito a riconoscere e a sconfiggere il virus distruggendo le cellule infettate. Queste persone risultano così sieronegative. Se si potesse far riprodure a tutti la loro risposta immunitaria avremmo vinto. Ricerche in questo senso si stanno svolgendo nella mia fondazione di Parigi e all'ospedale Spallanzani di Roma. Molti temono ancora che l'Aids possa trasmettersi con la saliva o con una puntura di zanzara. Può rassicurarli? E' vero che l'Hiv si annida anche in fondo alla gola, dove si trovano ghiandole linfatiche, quindi il virus è presente nella saliva. Ma questa è inibitrice dell'Hiv. Così si spiega perché un bacio non ha mai trasmesso l'Aids.Per quando riguarda le zanzare, la risposta è ancora più semplice. Le zanzare prelevano microlitri di sangue (milionesimi di litro), una quantità insufficiente per il contagio. Inoltre il virus viene neutralizzato nello stomaco dell'insetto, dove non può riprodursi. Qual è il rischio di contagio per via eterosessuale? Con un unico rapporto sessuale è più facile contrarre la gonorrea, una malattia venerea, che l'Aids, per il quale le possibilità sono probabilmente una su mille. Ma questo vale per un singolo rapporto. Studi condotti su coppie stabili composte da una persona sieropositiva e una sieronegativa dicono che la percentuale di contagio è del 10 per cento se non si usano preservativi, mentre è nulla per coloro che li utilizzano regolarmente. E' possibile che il virus passi attraverso il preservativo? No, se il preservativo è integro e usato correttamente, perché il virus - pur essendo molto piccolo - "viaggia" sempre associato a cellule, in questo caso gli spermatozoi. Quindi se anche il tessuto del preservativo fosse permeabile a particelle di virus, il passaggio non potrebbe comunque avvenire. Al contrario, se non si utilizza il preservativo, lo sperma passa molto velocemente dalla vagina al collo dell'utero, quindi in pochi secondi il virus può arrivare molto lontano. Oltretutto lo sperma neutralizza il pH della vagina, che normalmente è acido (tra 4 e 5) e offre una difesa contro il virus. Ma lo sperma porta il pH delle mucose vaginali a oltre 7 (quindi alcalino) per circa due ore. Così per il virus è più facile attaccare le mucose vaginali. Il rischio sale ulteriormente per le prostitute, che hanno rapporti sessuali molto ravvicinati. Qual è il grado di affidabilità dei test diagnostici attualmente utilizzati? Sono test sierologici, cioè rilevano la presenza di anticorpi, che appaiono da 8 a 20 giorni dopo il contagio. Dunque c'è un breve "periodo finestra", cioè un periodo durante il quale il contagio non è diagnosticabile. A parte questo problema, i test sono molto affidabili e la loro sensibilità è molto aumentata rispetto a qualche anno fa, quando il periodo finestra era di 3-6 mesi. Qual è la quantità di sperma o sangue necessaria perché avvenga il contagio? Dipende dal grado di infezione e quindi dalla presenza di virus nel sangue. Se una persona ha un'alta presenza di virus, bastano 0,1 millilitri di sangue. Ma dalle statistiche sugli incidenti negli ospedali, sappiamo che non basta pungersi un dito con un ago contaminato, deve esserci uno scambio di sangue, il che si verifica solo se l'ago va in profondità. In questo caso, purtroppo, anche con piccolissime quantità di sangue, come appunto 0,1 millilitri, le probabilità di essere contagiati sono del 100 per cento. Terapie di oggi e domani Come funzionano i farmaci antiretrovirali usati oggi? Alcuni agiscono sulla trascrittasi inversa, cioè l'enzima utilizzato dall'Hiv per trasformare il suo Rna in Dna e replicarsi. Gli inibitori della trascrittasi inversa sono di due tipi. Alcuni impediscono all'enzima di aggiungere nuovi elementi alla catena di Dna; altri agiscono fissandosi sulla parte dell'enzima che lavora, impedendogli di portare a termine il suo compito. Esistono poi farmaci che agiscono a un altro livello: sulla proteasi, l'enzima che taglia le catene di Dna destinate a produrre nuove copie di virus. La attuali terapie combinano in genere due inibitori della trascrittasi inversa e uno della proteasi. Quali sono i principali problemi legati ai farmaci antiretrovirali? Gli effetti collaterali molto pesanti: nausea, debolezza, alterazioni nell'assorbimento dei grassi, che si accumulano sul collo e sulla pancia a scapito delle gambe. Poi, il fatto che basta saltare tre volte nell'arco di pochi giorni l'assunzione dei farmaci per indebolirne l'effetto. Infine, il fatto che con il passare del tempo l'efficacia della terapia tende a diminuire. Esistono terapie alternative per chi sviluppa resistenza ai farmaci antiretrovirali? Non ci sono terapie alternative per ora, anche se tutti gli scienziati le stanno cercando. Ci sono solo cure complementari, ma non sono sostitutive del trattamento standard. Penso che un'alternativa sarà costituita dalla terapia genica, quando sarà disponibile. Per battere questo virus, avete più fiducia nella preparazione di un vaccino, nelle terapie farmacologiche oppure nella terapia genica? Non c'è contraddizione fra queste tre cose. Il trattamento con farmaci antiretrovirali ha permesso di salvare o prolungare molte vite nei Paesi sviluppati. Restano tagliati fuori i Paesi poveri. Solo il 10 per cento dei malati - vale a dire quelli che vivono nel mondo occidentale - può accedere alle terapie. Questo significa solo tre milioni di persone su un totale di 30 milioni di malati. Il problema è che non sappiamo se questi farmaci con il passare del tempo continueranno a essere attivi. Quindi la mia speranza è che si sviluppino trattamenti complementari per migliorare le terapie attuali. Tuttavia non arriveremo mai a sradicare l'epidemia senza un vaccino, anche se per ora siamo lontani e questo resta solo una grande speranza. Per quanto riguarda la terapia genica, ci sono tentativi molto promettenti in questo senso. Ma si tratta di sperimentazioni ancora alla fase iniziale, quella che verifica la non tossicità. I test hanno dimostrato che la cosa è fattibile, con le scimmie i risultati sono stati molto incoraggianti. Ma bisognerà aspettare circa due anni prima che le terapie geniche siano applicate. Potranno essere molto utili per le persone totalmente resistenti ai farmaci. Esistono persone sieropositive da almeno dieci anni che non sviluppano l'Aids. Il fenomeno viene spiegato con l'alto numero di chemiochine (molecole che "occupano" i co-recettori, cioè le "serrature" complementari, usati dal virus per penetrare nella cellula) di cui queste persone sono dotate. Sono state fatte ricerche per sfruttare le proprietà delle chemiochine a fini terapeutici? Sì, ci sono tentativi in questo senso, che però non hanno portato a molto, perché il meccanismo delle chemiochine è molto complesso. Oltretutto, se il virus cambiasse i co-recettori usati, le chemiochine potrebbero rivelarsi inutili. Sono state prodotte artificialmente sostanze simili alle chemiochine, in grado di bloccare tutti i co-recettori. Ma si tratta solo di una strada in mezzo a tante altre. Ci sono casi documentati di persone che sono guarite completamente dall'Aids? No, non sappiamo di persone che sono tornate sieronegative e che hanno sradicato il virus. Quando si parla di sieropositivi con carica virale nulla si allude al sangue periferico, perché il virus resta nascosto, ma attivo, nei cosiddetti "santuari" come i linfonodi (le ghiandole linfatiche). Cosa pensa delle disparità di accesso alle terapie tra i Paesi sviluppati e quelli del Terzo mondo? E quando ci sarà un vaccino, i Paesi poveri saranno sempre lasciati a se stessi? Sia da un punto di vista etico, sia nel nostro stesso interesse, non possiamo abbandonare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Bisognerà tentare di sviluppare gradualmente trattamenti avanzati anche lì. L'attuale terapia (basata su due farmaci inibitori della trascrittasi inversa e un inibitore della proteasi) è molto costosa e impegnativa da seguire: l'obiettivo è adattarla alle possibilità di queste popolazioni. Lo stesso vale per il vaccino. Ora che l'Aids nel mondo occidentale si è stabilizzato, il rischio è che ci siano meno pressioni e meno soldi per la ricerca e questo avrebbe ricadute tragiche per il Terzo mondo, ma anche per i Paesi più ricchi. Se l'Aids non fosse stato così diffuso tra gli omosessuali americani, probabilmente non avrebbe catalizzato tanto interesse. La ricerca del vaccino Quali caratteristiche dovrà avere il vaccino contro l'Aids? Dovrà essere in grado di proteggere sia dalla trasmissione per mezzo del sangue, sia dalla trasmissione per via sessuale, che avviene attraverso le mucose. Dovrà essere efficace contro tutti i ceppi di virus e offrire una copertura a lungo termine. Infine dovrà sviluppare non solo un'immunità attraverso gli anticorpi ma anche un'immunità cellulare. Qual è il principale ostacolo per la creazione del vaccino? E' costituito dalle caratteristiche stesse del virus. Innanzitutto la sua variabilità estrema, il fatto che sia trasmissibile attraverso le mucose e soprattutto il fatto che la risposta immunitaria sviluppata dai sieropositivi non protegge dalla malattia. Quando si arriverà al vaccino, questo potrà essere somministrato anche ai malati di Aids, come terapia? Assolutamente sì. Anche perché all'inizio verrà sperimentato proprio su persone già infettate per vedere se migliora la loro condizione in associazione alle terapie. Più fondi per la ricerca accelererebbero la creazione del vaccino? Attualmente né i governi né le case farmaceutiche si interessano molto alle ricerche sul vaccino, perché è considerato un campo troppo complicato e poco redditizio. Ma abbandonare la ricerca in questa direzione sarebbe un grave errore: i soldi dovrebbero essere destinati prima di tutto alle ricerche per il vaccino. Le teorie "eretiche" sull'Aids Un gruppo di scienziati, tra cui Peter Duesberg, ritiene che l'Hiv sia un virus innocuo e che l'Aids sia in realtà un'immunodeficienza provocata dall'abuso di droghe, da effetti di riduzione delle difese immunitarie legati alle trasfusioni di sangue o dagli stessi farmaci antiretrovirali. Ritiene che in queste teorie "eretiche" ci sia qualche spunto interessante? Più il tempo passa, più i fatti sono contro l'ipotesi che l'Aids non sia una malattia virale. Se l'Hiv non fosse la causa di questa sindrome, i farmaci contro il virus non avrebbero nessun effetto, mentre in realtà funzionano, hanno risultati concreti, salvano vite umane, rallentano il decorso della malattia. Le ipotesi di Duesberg sono datate. Sono state formulate all'inizio, quando la malattia era poco conosciuta. E non tengono conto delle evoluzioni e delle scoperte di questi ultimi anni. Sono d'accordo sul fatto che ci siano co-fattori in grado di influenzare la malattia, l'ho sempre sostenuto. Ma questa affermazione non contrasta con il fatto che il virus Hiv è la causa principale dell'Aids. Il fatto che l'Hiv non soddisfi i tre "postulati di Koch" (cioè tre condizioni senza le quali, secondo lo scienziato dell'Ottocento Robert Koch, una malattia non può essere attribuita a un certo virus) è rilevante? I postulati di Koch sono stati formulati più di un secolo fa. Oggi disponiamo di mezzi diagnostici molto superiori dal punto dell'attendibilità. Il caso dell'Hiv è simile a un giallo dove non si vede il colpevole, ma tutte le prove sono contro di lui. Per finire, qual è il suo messaggio ai malati di Aids? E' necessario che seguano alla lettera i trattamenti, anche se è difficile. Devono resistere il più possibile in attesa che, magari tra qualche mese, siano disponibili medicine più efficaci. Ma il mio messaggio si rivolge anche a tutti gli altri: bisogna adottare misure di prevenzione anche se nei Paesi occidentali il contagio si è stabilizzato. Abbassare la guardia ora sarebbe un errore che potremmo pagare caro.
testo raccolto da Francesca Capelli
Newton 01 novembre 1998
- Risposta di :
- Gentile giul,
ottima intervista. Colpisce uin dato: nel 1998, come dice l'articolo, erano 22 milioni le persone affette da HIV, i dati OMS di quest'anno parlano di oltre 47 milioni di persone. Per i paesi in via di sviluppo questa è lka più grave tragedia socio-sanitaria di tutti i tempi.
Cordiali saluti
Dr. G. Guaraldi