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Servizio Sanitario Regione Emilia Romagna
Home > Chiedi all'esperto  >  Uso corretto del servizio  >  Archivio quesiti  >  Quesito di joshua del 18/01/2005

Scheda quesito

Nickame:
joshua
Data:
18/01/2005
Quesito:
Egregi dottori, perché in alcune risposte di gennaio 2005 raccomandate di eseguire iltest HIV dopo sei mesi quando fino al dicembre scorso avete indicate tre mesi? Il cambiamento delle linee guida internazionali a cui fate riferimento rispecchia un aggiornamento delle conoscenze medico-clinico sull'attendibilità del test? C'è qualcosa che mi sfugge...
Risposta di :
Gentile utente, in qualità di responsabile scientifico del sito, a nome dell’equipe dei risponditori di helpAIDS desidero fare le scuse se negli ultimi giorni sono stati inviati messaggi poco chiari circa il periodo finestra sierologico del test HIV. Cercherò di sintetizzare brevemente la posizione di HelpAIDS che sta facendo una riflessione interna tra i propri esperti per cercare di conciliare correttezza scientifica, coerenza con le istituzioni che rappresenta e le finalità di prevenzione che si prefigge. La nostra equipe valuta il counselling HIV come un'attività clinica che comprende un'anamnesi comportamentale e un percorso diagnostico, prefiggendosi di accrescere nel cliente una maggior consapevolezza individuale del rischio. In questo contesto ogni nostro contatto viene valutato come caso clinico e pertanto unico. Per questo motivo riteniamo che i nostri utenti espongano in dettaglio gli episodi comportamentali che ritengono potenzialmente a rischio al fine di valutare per ciascuno di loro il rischio intercorso. L'interpretazione del test HIV non è difforme da ogni altra interpretazione diagnostica in medicina in cui il medico è chiamato a prendere decisioni cliniche pur nella consapevolezza dei limiti di sensibilità e specificità degli strumenti che utilizza. A mo’ di esempio vorrei fare un paragone con un esame radiologico. Un paziente forte fumatore che accede a una TAC torace per escludere un tumore polmonare, verrà rassicurato se l’esito dell’esame risulta negativo. Eppure la TAC ha una sensibilità insufficiente per diagnosticare lesioni tumorali millimetriche. La percentuale di risultati falsamente negativi con il test HIV varia da uno 0.3% nella popolazione ad alta prevalenza di infezione (J Inf Dis 1993; 168:327) ad uno 0,001% nella popolazione a bassa prevalenza (N Engl J Med 1991; 325:593). Ogni test andrebbe pertanto discusso con personale sanitario qualificato e contestualizzato nella situazione di rischio epidemiologico del soggetto esposto. L’esito falsamente negativo dei risultati è dovuto principalmente all’esecuzione del test nel periodo finestra. Dopo l’avvenuta infezione da HIV, l’organismo impiega circa 10-14 giorni a formare gli anticorpi, identificati dal test ELISA (Clin Infect Dis 1997; 25:101; Am J Med 2000; 109:568). Alcune persone sieroconvertono dopo 3-4 settimane, ma virtualmente tutti i pazienti sieroconvertono dopo 6 mesi dall’infezione (Am J Med 2000; 109:568). Per questo motivo le istituzioni pubbliche, tra cui l’istituto Superiore di Sanità, propongono di eseguire un test a distanza di 6 mesi da un contatto a rischio, tutelandosi in questo modo anche da possibili questioni legali. L’esperienza clinica tuttavia è diversa. La disponibilità di kit commerciali di III e IV generazione ha enormemente aumentato la capacità di rilevare anche quantità minime di anticorpi neoprodotti riducendo il periodo finestra talora al di sotto di 1 mese. Nell’esperienza clinica condivisa, 3 mesi appaiono un periodo più che sufficiente per ritenere probante il risultato di un test ELISA. In ogni caso valutazioni circa la tipologia del contatto, lo stato sierologico del paziente fonte e la reiterazione del rischio imporranno maggior prudenza nell’interpretazione clinica del risultato. Riteniamo pertanto che nella valutazione clinica individuale il coulsellor può con assoluta correttezza scientifica stabilire sufficiente un periodo finestra di tre mesi. Al contrario se ritiene che esistano situazioni di rischio aumentato possa richiedere la ripetizione del test anche oltre 6 mesi dal comportamento a rischio. Tornando al paragone radiologico di cui sopra, il radiologo se ha un sospetto clinico chiederà di ripetere nel tempo la TAC negativa. Infine, in un’ottica prettamente preventiva riteniamo che proporre a tutela dell’istituzione sanitaria, periodi finestra ingiustificatamente lunghi, possa fare ritenere il soggetto con rischi sessuali ripetuti, di vivere in uno stato perenne di incertezza diagnostica e pertanto in una condizione in cui sia indifferente conoscere il proprio stato sierologico. Al contrario poter stabilire dei punti fermi nella storia del rischio individuale può favorire processi decisionali in cui il singolo diventa in grado di adottare comportamenti sicuri. Spero di essere stato sufficientemente chiaro e che vogliate capire la necessità di conciliare la nostra attività clinica e l’immagine delle istituzioni che rappresentiamo. Cordiali saluti. Dr. Giovanni Guaraldi